Innovation Manager: prorogato il termine per i contratti e nuovi fondi per le domande escluse

Due provvedimenti del MISE intervengono a modificare in senso migliorativo il regime applicativo dei voucher per l’innovazione.

Il primo provvedimento, quello più importante anche se non risulta ancora formalmente pubblicato, è il Decreto con cui il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha aumentato la dotazione finanziaria per i voucher, assegnando risorse per ulteriori 46 milioni di euro. Ne ha dato notizia il sito del MISE con una nota datata 15 gennaio 2020.

Si tratta delle risorse necessarie per finanziare le 1.784 domande di agevolazione che, sulla base dell’ordine cronologico di presentazione delle istanze in occasione del “click day” del 12 dicembre 2019, non erano risultate finanziabili per l’esaurimento dei fondi disponibili e pertanto erano state incluse in un Allegato B al Decreto Direttoriale MISE del 20 dicembre 2019 di pubblicazione delle domande finanziabili (il Decreto era stato poi pubblicato anche in G.U. il 9 gennaio 2020).

Anche per queste domande si apre pertanto la strada del voucher.

Il secondo provvedimento è invece già pubblicato nel sito del MISE: si tratta del Decreto Direttoriale del 20, gennaio 2020 con il quale il termine per la sottoscrizione del contratto di consulenza specialistica oggetto di agevolazione è stato prorogato, per cui i contratti devono essere sottoscritti “non oltre 60 giorni”, anziché “non oltre 30 giorni” dalla data di “pubblicazione sul sito web del Ministero del provvedimento cumulativo di concessione delle agevolazioni” (il termine originario di 30 giorni era previsto dall’art. 6 lettera a del Decreto Direttoriale 25 settembre 2019).

Poiché il provvedimento di concessione è stato pubblicato sul sito web del MISE il giorno 20 dicembre 2019 (attenzione: la data di pubblicazione in GU non conta ai fini del computo dei giorni!), la proroga comporta che i contratti di consulenza specialistica devono essere sottoscritti entro il giorno 18 febbraio 2020.

E’ una proroga importante, considerata la natura complessa dei contratti sia per il contenuto tecnico delle domande di agevolazione e dei progetti che ne sono il presupposto, sia perché i decreti attuativi del
voucher impongono contenuti del contratto precisi e vincolanti: devono essere descritti il contenuto e le finalità delle prestazioni consulenziali, che devono essere coerenti con le specializzazioni dichiarate dal manager qualificato al momento dell’iscrizione nell’elenco; devono essere indicate le modalità organizzative per il concreto svolgimento del rapporto; vanno specificati il numero di giornate uomo, la durata complessiva dell’incarico (obbligatoriamente compresa tra un minimo di 9 e un massimo di 15 mesi), la data di avvio e quella di ultimazione, il compenso pattuito e le modalità di pagamento; ancora, vanno specificati gli output previsti, elemento assai rilevante anche in una prospettiva di “obbligazione di risultato”; il tutto va accompagnato dalla sottoscrizione con firma digitale.

Sul piano dei rapporti giuridici tra le parti, l’elemento dello stabile inserimento del manager nell’organizzazione dell’impresa beneficiaria, sia pur temporaneo, accompagnato dalla definizione condivisa delle modalità organizzative (circostanza che fa escludere una determinazione unilaterale di esse da parte del committente) sembra tale da configurare il rapporto non come un rapporto di lavoro autonomo tout court, ma piuttosto come una collaborazione coordinata rientrante nella tipologia di cui all’art. 409 c.p.c. (il che, peraltro, esclude che si possa configurare un obbligo di applicare la disciplina del lavoro subordinato come accade per le collaborazioni etero-organizzate).

La questione che rimane aperta, e che probabilmente si chiarirà con la pubblicazione del Decreto che stanzia le nuove risorse e quindi rende ammissibili e finanziabili anche le domande pubblicate nell’Allegato B, riguarda i tempi di sottoscrizione dei contratti di consulenza per questo secondo gruppo di domande. Non appare possibile applicare anche ad esse il termine del 18 febbraio, posto che ad oggi queste domande non sono ancora ufficialmente ammesse al voucher, e sicuramente non lo erano dalla data del 20 dicembre 2019.

Esiste quindi ancora una nutrita schiera di casi (le domande, come detto, sono 1.784) per i quali la definizione dei contenuti dei contratti con i Manager è tutta da scrivere.

L’algoritmo in tribunale

È lecito sostituire l’attività umana con un algoritmo? 

E se è lecito, a quali condizioni?

Ma poi, alla fine, cos’è un algoritmo per il diritto?

Su queste domande da qualche tempo anche la giurisprudenza ha cominciato a pronunciarsi; in particolare nell’ultimo anno una serie di sentenze del Giudice Amministrativo ha affrontato l’argomento, proponendo interessanti suggestioni e spunti di riflessione.

Occasione di un ripetuto interesse del Giudice Amministrativo per l’argomento è stato il fatto che, nell’ambito del piano straordinario nazionale di cui alla legge n. 107/2015 (la cosiddetta “buona scuola”), finalizzato ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, la formulazione delle proposte di assunzione ai docenti, già inseriti nelle relative graduatorie ad esaurimento, è stata gestita da un sistema informatico per mezzo di un algoritmo.

Le numerose impugnazioni dei provvedimenti di assegnazione che ne sono scaturiti ha portato all’attenzione del Giudice il procedimento amministrativo e, con esso, l’algoritmo di valutazione e graduazione delle domande e di assegnazione finale delle sedi ai singoli docenti.

 

È legittimo l’utilizzo dell’algoritmo?

La giurisprudenza si è divisa già sulla prima questione, quella che in questa fase storica potremmo considerare come “la” domanda: è legittimo l’utilizzo di una procedura “informatica”, “robotizzata”, di un “meccanismo informatico o matematico”, di un “impersonale algoritmo” (espressioni tutte che si ritrovano nelle pronunce) nello svolgimento dell’attività amministrativa? E’ legittimo l’uso di un algoritmo che costituisca esso stesso l’attività amministrativa?

La risposta è negativa, secondo alcune pronunce del TAR Lazio Roma, sez. III bis (tra le molte, si possono citare 28.5.2019 n. 6688 e 19.4.2019 n. 5139): “alcuna complicatezza o ampiezza, in termini di numero di soggetti coinvolti ed ambiti territoriali interessati, di una procedura amministrativa, può legittimare la sua devoluzione ad un meccanismo informatico o matematico del tutto impersonale e orfano di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, tipiche invece della tradizionale e garantistica istruttoria procedimentale che deve informare l’attività amministrativa, specie ove sfociante in atti provvedimentali incisivi di posizioni giuridiche soggettive di soggetti privati e di conseguenziali ovvie ricadute anche sugli apparati e gli assetti della pubblica amministrazione”

Secondo il TAR, “un algoritmo, quantunque, preimpostato in guisa da tener conto di posizioni personali, di titoli e punteggi, giammai può assicurare la salvaguardia delle guarentigie procedimentali che gli artt. 2, 6,7,8,9,10 della L. 7 agosto 1990, n. 241 hanno apprestato, tra l’altro in recepimento di un inveterato percorso giurisprudenziale e dottrinario”; “gli istituti di partecipazione, di trasparenza e di accesso, in sintesi, di relazione del privato con i pubblici poteri non possono essere legittimamente mortificati e compressi soppiantando l’attività umana con quella impersonale, che poi non è attività, ossia prodotto delle azioni dell’uomo, che può essere svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche”. 

“A essere inoltre vulnerato non è solo il canone di trasparenza e di partecipazione procedimentale, ma anche l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative, con il risultato di una frustrazione anche delle correlate garanzie processuali che declinano sul versante del diritto di azione e difesa in giudizio di cui all’art. 24 Cost., diritto che risulta compromesso tutte le volte in cui l’assenza della motivazione non permette inizialmente all’interessato e successivamente, su impulso di questi, al Giudice, di percepire l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione per giungere ad un determinato approdo provvedimentale”. 

L’assunto, “dirimente” secondo il Collegio, è che è mancata nella fattispecie una vera e propria attività amministrativa, essendosi demandato ad un impersonale algoritmo lo svolgimento dell’intera procedura di assegnazione dei docenti alle sedi disponibili nell’organico dell’autonomia della scuola”

La conclusione del TAR Lazio è che, “con riguardo al ruolo che lo strumento informatico può legittimamente rivestire nell’ambito di procedimenti amministrativi, il Collegio è più in particolare del meditato avviso secondo cui non è conforme al vigente plesso normativo complessivo e ai dettami dell’art. 97 della Costituzione, ai principi ad esso sottesi, agli istituti di partecipazione procedimentale definiti agli artt. 7,8, 10 e 10 – bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, all’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi sancito dall’art. 3, stessa legge, al principio ineludibile dell’interlocuzione personale intessuto nell’art. 6 della legge sul procedimento e a quello ad esso presupposto di istituzione della figura del responsabile del procedimento, affidare all’attivazione di meccanismi e sistemi informatici e al conseguente loro impersonale funzionamento, il dipanarsi di procedimenti amministrativi, sovente incidenti su interessi, se non diritti, di rilievo costituzionale, che invece postulano, onde approdare al corretto esito provvedimentale conclusivo, il disimpegno di attività istruttoria, acquisitiva di rappresentazioni di circostanze di fatto e situazioni personali degli interessati destinatari del provvedimento finale, attività, talora ponderativa e comparativa di interessi e conseguentemente necessariamente motivazionale, che solo l’opera e l’attività dianoetica dell’uomo può svolgere.”

“Invero Il Collegio è del parere che le procedure informatiche, finanche ove pervengano al loro maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non possano mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere e che pertanto, al fine di assicurare l’osservanza degli istituti di partecipazione, di interlocuzione procedimentale, di acquisizione degli apporti collaborativi del privato e degli interessi coinvolti nel procedimento, deve seguitare ad essere il dominus del procedimento stesso, all’uopo dominando le stesse procedure informatiche predisposte in funzione servente e alle quali va dunque riservato tutt’oggi un ruolo strumentale e meramente ausiliario in seno al procedimento amministrativo e giammai dominante o surrogatorio dell’attività dell’uomo; ostando alla deleteria prospettiva orwelliana di dismissione delle redini della funzione istruttoria e di abdicazione a quella provvedimentale, il presidio costituito dal baluardo dei valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo.”

Costituisce vizio insuperabile, secondo questa lettura, “l’assenza dell’esplicitazione delle ragioni di fatto e di diritto sottese all’assegnazione in esito al procedimento algoritmicamente impostato di mobilità, di un determinato punteggio ovvero di una determinata sede di servizio”; questo infatti “determina l’impossibilità di ricostruire, sia da parte del destinatario che del Giudice, il percorso logico – giuridico in virtù del quale la P.A. si è determinata in un senso che il destinatario del provvedimento inespresso ritiene ingiusto e meritevole di essere contestato.”

Inoltre, “difettando atti istruttori se non intere sub fasi procedimentali, sostituiti dalla procedura algebrica, il destinatario dell’esito provvedimentale implicito non è in grado di individuare quali siano gli atti interlocutori ed istruttori ad esso prodromici, dei quali richiedere l’ostensione e l’accesso. Con il che risulta vulnerato anche il diritto d’accesso, privazione costituente ulteriore e preliminare profilo dell’incisione del diritto di difesa già compromesso, come dianzi si è illustrato, dall’assenza di motivazione.”

Di avviso opposto, quanto alla legittimità del ricorso all’algoritmo, è la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 8.4.2019 n. 2270.

Il Collegio muove da una premessa, e cioè che “un più elevato livello di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti” e che “Il Codice dell’amministrazione digitale rappresenta un approdo decisivo in tale direzione”.

L’innovazione tecnologica, sembra voler ricordare il Consiglio di Stato, è irreversibile e l’ordinamento muove in questa direzione, anche e proprio nella disciplina dell’attività amministrativa.

Alla premessa generale segue una specifica “difesa” delle nuove tecnologie proprio in relazione all’oggetto di quel giudizio: “devono sottolinearsi gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di una procedura digitale ed attraverso un “algoritmo” – ovvero di una sequenza ordinata di operazioni di calcolo che in via informatica sia in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande. L’utilità di tale modalità operativa di gestione dell’interesse pubblico è particolarmente evidente con riferimento a procedure seriali o standardizzate, implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale”.

“Ciò è, invero, conforme ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 L. n. 241 del 1990), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale.

Per questa ragione, in tali casi – ivi compreso quello di specie, relativo ad una procedura di assegnazione di sedi in base a criteri oggettivi – l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.

In altre parole, l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica.”

Rispetto alle pronunce del TAR Lazio sopra richiamate, l’assenza di intervento umano è vista non già come un inammissibile vulnus, ma al contrario come una opportunità, anzi addirittura come una occasione di miglioramento, e questo non soltanto per ragioni tecniche legate alla riduzione dei tempi e al minor dispendio di risorse, ma anche perché rimuove quanto di negativo è compreso nell’attività umana. La “impersonalità” diventa qui un pregio, in quanto sinonimo di “imparzialità”.

Perché ciò accada, è però necessario essere in presenza di “dati certi ed oggettivamente comprovabili”, da gestire con “procedure seriali o standardizzate”, attraverso “operazioni meramente ripetitive”, in cui l’algoritmo è chiamato a svolgere la “elaborazione di ingenti quantità di istanze” ed una conseguente “mera classificazione automatica”, il tutto “in assenza di ogni apprezzamento discrezionale”.

Stando a questi presupposti, la distanza tra i due orientamenti giurisprudenziali è forse meno abissale di quanto possa sembrare ad una prima lettura.

Quello che sembra nettamente diverso è il modo di intendere l’attività dell’uomo, l’attività della macchina, ed il ruolo di entrambe.

Secondo il TAR Lazio, l’attività impersonale “non è attività, ossia prodotto delle azioni dell’uomo”.

Secondo il Consiglio di Stato l’attività “impersonale” dell’algoritmo e l’attività umana non sono invece due entità opposte di cui una esclude l’altra: piuttosto, c’è l’uomo “dietro” e “dentro” la macchina: ed è questo ciò che rende legittimo “l’utilizzo di procedure robotizzate”.

Però occorre assicurarsi che questo utilizzo avvenga senza la “elusione dei principi che conformano il nostro ordinamento e che regolano  lo svolgersi dell’attività amministrativa”.

“La regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva. Questa regola algoritmica, quindi:

  • possiede una piena valenza giuridica e amministrativa, anche se viene declinata in forma matematica, e come tale, come si è detto, deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 L. n. 241 del 1990), di ragionevolezza, di proporzionalità, etc.;
  • non può lasciare spazi applicativi discrezionali (di cui l’elaboratore elettronico è privo), ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili (e ciò la rende in parte diversa da molte regole amministrative generali); la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software, è quindi da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale;
  • vede sempre la necessità che sia l’amministrazione a compiere un ruolo ex ante di mediazione e composizione di interessi, anche per mezzo di costanti test, aggiornamenti e modalità di perfezionamento dell’algoritmo (soprattutto nel caso di apprendimento progressivo e di deep learning);
  • deve contemplare la possibilità che – come è stato autorevolmente affermato – sia il giudice a “dover svolgere, per la prima volta sul piano ‘umano’, valutazioni e accertamenti fatti direttamente in via automatica”, con la conseguenza che la decisione robotizzata “impone al giudice di valutare la correttezza del processo automatizzato in tutte le sue componenti.

In definitiva, dunque, l’algoritmo, ossia il software, deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico”.

Secondo questa lettura, l’attenzione dunque non si deve soffermare, o almeno non esclusivamente, sulla fase dell’applicazione dell’algoritmo, e tanto meno sulla fase della produzione dei risultati dell’algoritmo; l’attenzione deve essere  anticipata ad una fase molto precedente.

Si deve guardare a quando, come e da chi l’algoritmo è stato scritto; prima ancora, si deve guardare a come sono stati scelti gli autori e come sono state stabilite le regole da dare all’algoritmo; e prima ancora, si deve guardare a quali dati sono stati raccolti, come sono stati raccolti, e come sono stati gestiti ai fini della elaborazione dell’algoritmo.

E tutto deve essere conoscibile, e giudicabile.

“Il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico.

Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato.

In altri termini, la “caratterizzazione multidisciplinare” dell’algoritmo (costruzione che certo non richiede solo competenze giuridiche, ma tecniche, informatiche, statistiche, amministrative) non esime dalla necessità che la “formula tecnica”, che di fatto rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice”.

L’orientamento giurisprudenziale più “conservatore” rifiuta la transizione. Esso individua il problema, ma esclude che vi sia soluzione e reagisce negando cittadinanza al nuovo strumento. Certo la negazione non è totale; però la limitazione delle nuove possibilità tecnologiche ad una funzione “servente” e “strumentale” per un verso appare di assai ardua perimetrazione, per un altro verso va contro la direzione dei processi tecnologici, ed infine appare intrinsecamente contraddittoria, posto che anche la funzione “servente” pone le medesime esigenze di conoscibilità e di accessibilità.

L’orientamento giurisprudenziale più “innovatore” mira invece a governare la transizione.

Lo fa naturalmente focalizzandosi sul momento giurisdizionale, trattandosi di sentenza; e in particolare lo fa soffermandosi sul tema sottoposto alla sua decisione, che è quello riguardante il procedimento amministrativo. Ma la riflessione può essere estesa all’attività umana nella sua totalità e complessità, intesa come attività soggetta a regole e principi che la definiscono, la guidano e la delimitano nel suo svolgersi.

Ciò che questa giurisprudenza ci dice è che l’irruzione dell’algoritmo in Tribunale (ma in realtà, prima di allora, all’interno del mondo delle regole che guidano l’attività umana) è inevitabile, e che di questa irruzione così “disruptive” occorre cogliere la dimensione che è al contempo rivoluzionaria e tradizionale.

In Tribunale, l’algoritmo si pone in una dimensione rivoluzionaria perché oggetto del giudizio diventa non un comportamento umano, ma una formula tecnica, una regola matematica; ma si pone anche in una dimensione tradizionale, perché cambia ciò che il Giudice va a scrutare, e come il Giudice lo va a scrutare,  ma non ciò che il Giudice va a cercare e ciò che il Giudice vuole trovare. 

Al di fuori del Tribunale (e cioè prima di arrivare in Tribunale), l’algoritmo è rivoluzione perché è l’algoritmo, utilizzato per svolgere/gestire una attività umana, che deve essere conforme alla regola che disciplina quella attività; ma è anche tradizione, perché la regola è sempre la medesima, e va applicata secondo gli stessi canoni con i quali è stata da sempre applicata ai comportamenti umani.

La sentenza chiarisce bene la necessità che il linguaggio della macchina sia/diventi linguaggio dell’uomo: perché è l’uomo il destinatario dell’attività della macchina (il cittadino; il lavoratore); perché è l’uomo a decidere – ancora, almeno per ora, e fino a che sarà così- l’oggetto e le finalità delle attività della macchina (la Pubblica Amministrazione; il datore di lavoro); perché è l’uomo a decidere della liceità e correttezza dell’attività della macchina e della sua rispondenza alla regola (il Giudice; ma anche con il Giudice e per il Giudice – sempre di più, e in maniera sempre più incisiva – il suo Consulente).

“La regola algoritmica deve essere non solo conoscibile in sé, ma anche soggetta alla piena cognizione, e al pieno sindacato, del giudice amministrativo”.

“La decisione amministrativa automatizzata impone al giudice di valutare in primo luogo la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione. Da qui, come si è detto, si conferma la necessità di assicurare che quel processo, a livello amministrativo, avvenga in maniera trasparente, attraverso la conoscibilità dei dati immessi e dell’algoritmo medesimo.

In secondo luogo, conseguente al primo, il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo”.

Ci sembra che questa sia, aldilà delle comunque rilevantissime tematiche afferenti l’atto amministrativo che esulano da queste note, la portata più significativa di questa giurisprudenza: l’algoritmo deve rispondere ai canoni dell’ordinamento, e deve essere possibile verificare che sia così.

Ai nostri fini, quel che appare interessante della qualificazione dell’algoritmo come “atto amministrativo informatico” è che il Consiglio di Stato vi perviene applicando al nuovo linguaggio (matematico) il corpo giuridico (i principi in particolare del diritto amministrativo) di riferimento.

Potrebbe sembrare una conclusione scontata: ma in realtà non lo è affatto, o comunque non lo è nella misura in cui costringe tutti a leggere l’innovazione, in qualunque campo, attraverso le lenti dell’ordinamento vigente applicabile a quel campo.

 

La ricostruzione dell’iter logico

In questo senso, è assai interessante un’altra pronuncia del TAR Lazio Roma, sez. III bis, 21.3.2017 n. 3742, che (sempre in materia di assegnazione di sedi ai docenti per via informatica) perviene a qualificare anch’essa l’algoritmo come atto amministrativo informatico.

E’ una sentenza interessante per diversi ordini di motivi; qui la annotiamo per due aspetti.

Da un lato la sentenza fa un riferimento, per quanto indiretto, alla questione del “diverso tenore della discrezionalità esercitata” attraverso l’algoritmo ed al tema della (diversa?) ammissibilità della elaborazione elettronica dell’atto amministrativo in ipotesi di attività vincolata o viceversa quando vi sia attività discrezionale.

Secondo il TAR, “si può agevolmente concordare in ordine alla circostanza che la predetta tipologia di atto informatico è giuridicamente ammissibile e legittimo quanto all’attività vincolata dell’amministrazione, atteso che l’attività vincolata è compatibile con la logica propria dell’elaboratore elettronico in quanto il software traduce gli elementi di fatto e i dati giuridici in linguaggio matematico dando vita a un ragionamento logico formalizzato che porta a una conclusione che, sulla base dei dati iniziali, è immutabile.”

Anche secondo questa sentenza, dunque, attività vincolata e algoritmo sono pienamente compatibili, indipendentemente dalla complessità, anzi tanto più quanto maggiore è la complessità: “…attività che si presenta, invero, particolarmente complessa esclusivamente in considerazione degli innumerevoli elementi che devono essere valutati ai predetti fini ma che prescindono, comunque, da una valutazione discrezionale degli stessi da parte dell’amministrazione, trattandosi di elementi di tipo oggettivo e di immediato riscontro, di talché l’amministrazione è tenuta, pertanto, soltanto a acquisirli tutti al procedimento e ad interrelazionarli correttamente tra di loro ai fini dell’adozione dell’atto finale, ossia appunto l’individuazione concreta della specifica sede di servizio di spettanza del singolo docente interessato dalla mobilità per l’anno in corso.”

E’ un punto a favore dell’algoritmo: non è possibile escluderne l’impiego a priori affermando che si tratterebbe di “attività non umana” o “non attività”.

 

Per l’attività discrezionale, il Tribunale non si pronuncia, poiché non era oggetto del caso sottoposto a decisione; però la sentenza contiene un passaggio significativo quando, dato atto che il problema nasce quando “l’amministrazione ha la possibilità di scelta dei mezzi da utilizzare ai fini della realizzazione dei fini determinati dalla legge” così scrive: “al riguardo potrebbe ritenersi che, in realtà, l’ammissibilità dell’elaborazione elettronica dell’atto amministrativo – ovvero, traduciamo noi, l’utilizzo di un algoritmo – non è legata alla natura discrezionale o vincolata dell’atto quanto invece essenzialmente alla possibilità, che tuttavia è scientifica e non invece giuridica, di ricostruzione dell’iter logico sulla base del quale l’atto stesso possa essere emanato per mezzo di procedure automatizzate quanto al relativo contenuto dispositivo.”

Interviene qui il secondo spunto interessante della sentenza ai nostri fini: viene analizzato il software nel suo profilo giuridico.

A monte di tutto, ricorda il TAR, vi è un problema da “risolvere e automatizzare”, e cioè l’esigenza che si vuole soddisfare: è da qui che nasce tutto, ed è per soddisfare questa esigenza che s procede alla “scrittura del codice”.

“Il software è, quindi, l’espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni contenute in qualsiasi forma o supporto capace direttamente o indirettamente di fare eseguire o fare ottenere una funzione, un compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione e con linguaggio o codice sorgente si intende il testo di un algoritmo di un programma scritto in un linguaggio ed in fase di programmazione e compreso all’interno di un file sorgente.

Il codice sorgente scritto dovrà essere opportunamente elaborato per arrivare a un programma eseguibile dal processore ponendosi dunque come punto di partenza (“sorgente”) dell’intero processo che porta all’esecuzione del programma stesso da parte dell’hardware della macchina, e che può includere altre fasi come precompilazione, compilazione, interpretazione, caricamento e linking (a seconda del tipo di linguaggio di programmazione utilizzato) per concludersi con l’installazione.

La scrittura del codice sorgente presuppone la risoluzione (a monte o di pari passo) del problema iniziale da risolvere e automatizzare sotto forma di algoritmo risolutivo (eventualmente ricorrendo ad un diagramma di flusso o ad uno pseudolinguaggio), di cui la fase di scrittura del codice rappresenta la fase implementativa (programmazione) ad opera di un programmatore tramite un editor di testo (spesso compreso all’interno di un ambiente di sviluppo integrato) rispettando lessico e sintassi del particolare linguaggio di programmazione scelto/utilizzato.”

Se c’è una “scrittura”, c’è anche necessariamente un autore, cui è imputabile la scrittura del software.

Ed infatti, “il software ha natura prettamente informatica in quanto è compilato mediante linguaggi di programmazione che sono conosciuti esclusivamente dai programmatori informatici e che, di per sé, sono solitamente incomprensibili non solo al funzionario che ne fa uso ai fini dell’elaborazione della decisione finale del procedimento amministrativo ma anche al privato destinatario dell’atto stesso”; così come “il software non è solitamente imputabile all’amministrazione o a un funzionario pubblico in quanto il relativo programma informatico non è elaborato direttamente da parte dell’amministrazione pubblica ma da parte di un soggetto privato competente in materia anche se sulla base delle indicazioni puntuali sui criteri e le finalità di natura amministrativa”.

Si pone, dunque, la necessità della distinzione tra autore della scrittura e autore delle scelte che stanno alla base di quella scrittura.

“Le decisioni dell’attività dell’amministrazione vengono, in realtà, prese a monte dell’elaborazione elettronica sia per quanto concerne il ricorso alla predetta tipologia di elaborazione che per quanto concerne la definizione dell’architettura stessa del software, che si limita, pertanto, a rendere effettive le determinazioni al riguardo dell’amministrazione e, quindi, il software è in sostanza l’esecuzione di una decisione amministrativa già presa e perfezionatasi, che è di per sé già direttamente produttrice di effetti giuridici; il software svolge una mera funzione di ausilio all’attività del funzionario pubblico in quanto la volontà dell’atto informatico è la volontà dell’autorità amministrativa procedente e non invece un mero prodotto di macchina; il software concretizza una mera modalità di esecuzione di una volontà dell’amministrazione che, tuttavia, è già stata espressa.”

Nella prospettiva della differenziazione dei ruoli e delle responsabilità all’interno del percorso che dalla decisione di ricorrere all’algoritmo porta all’esercizio dell’attività (umana) da quello gestita, questa lucida ricostruzione del TAR appare quantomai efficace nel delineare cosa compete a chi decide, e cosa a chi “scrive”.

Dopodichè, la parte finale fissa un punto fondamentale evidenziando  la portata assolutamente innovativa del linguaggio digitale: “è il ricorso a strumenti innovativi da parte dell’amministrazione per la gestione della propria attività procedimentale e provvedimentale che impone all’interprete di fronteggiare, con un approccio più aperto e non legato indissolubilmente alle logiche preesistenti, le problematiche di tipo giuridico che ne conseguono e non può, peraltro, fondatamente ritenersi che la scelta discrezionale dell’amministrazione di ricorrere a un programma informatico al fine di gestire un procedimento che la stessa amministrazione ha costruito in un certo articolato e complesso modo, alla luce delle varianti che la medesima ha ritenuto di dovervi introdurre al fine di giungere alla definizione del contenuto del provvedimento finale sulla base della normativa in materia, si rifletta in senso limitativo all’accessibilità conoscitiva da parte del destinatario dell’atto il cui concreto contenuto dispositivo è stato, in definitiva, elaborato esclusivamente attraverso un programma informatico appositamente elaborato.”

Sarebbe sbagliato ritenere che “per il solo fatto che si tratti di attività vincolata e delineata puntualmente nei suoi presupposti, si tratti esclusivamente di una modalità di esecuzione”; in realtà “è il software che, in concreto, tiene conto dei singoli passaggi procedurali in cui si sarebbe dovuto concretizzare il procedimento ordinariamente svolto da parte di un funzionario pubblico-persona fisica.”

Per questo motivo, nella fattispecie specifica (che riguardava una richiesta di accesso al codice sorgente) il TAR esclude che sia sufficiente poter conoscere “le istruzioni espresse in lingua italiana e in forma di algoritmo in quanto descrittive della sequenza ordinata dei relativi passaggi logici”: ciò “permette evidentemente di assicurare la comprensibilità del funzionamento del software anche al cittadino comune”; ma occorre poter avere invece “piena contezza anche del programma informatico che può aversi solo con l’acquisizione del relativo linguaggio sorgente, indicato nel ricorso come codice sorgente, del software relativo all’algoritmo di cui trattasi. 

E’ evidente, infatti, che la mera descrizione dell’algoritmo e del suo funzionamento in lingua italiana non assolve alla medesima funzione conoscitiva data dall’acquisizione diretta del linguaggio informatico sorgente.”

La Accessibilità (dell’atto amministrativo) e la Conoscibilità dell’iter logico (per qualsiasi atto dell’uomo gestito da un algoritmo) portano con sé, secondo questa lettura, una intrinseca ed ineliminabile necessità di conoscere il linguaggio sorgente. 

L’algoritmo non può avere segreti?

 

Note finali

In un percorso interpretativo appena intrapreso, le sentenze citate (e altre di analogo tenore) cominciano a dare le prime indicazioni e individuare le prime questioni.

Un primo punto è il riconoscimento che l’algoritmo ha diritto di ingresso all’interno dell’ordinamento giuridico. La discussione è sulle condizioni, ma la porta è stata dichiarata aperta.

Un secondo punto è che tale ingresso non è incondizionato, ma anzi impone che siano salvaguardati i principi e le regole che disciplinano l’ambito, nel quale l’algoritmo trova ospitalità: e questo non vale solo per il diritto amministrativo. Se l’algoritmo viene utilizzato ai fini del rapporto di lavoro, deve rispettare i principi del diritto del lavoro; se viene impiegato ai fini della gestione di un rapporto assicurativo o bancario, deve osservarne le regole; e così per qualsiasi ambito.

Non ci riferiamo, si badi, ai principi trasversali applicabili a tutto l’ordinamento (uno per tutti: la tutela dei dati personali); ci riferiamo alle specifiche regole del settore in cui l’algoritmo aiuta/sostituisce l’azione dell’uomo. Ciò che l’essere umano deve/non deve fare in un certo contesto, lo deve/non deve fare anche l’algoritmo.

Terzo punto, l’algoritmo parla un linguaggio nuovo, diverso, per molti incomprensibile. Poiché il linguaggio è di pochi (o comunque, non è di tutti), solo chi padroneggia il linguaggio è in grado di percepire la correttezza di ciò che è scritto. Questa correttezza deve essere tecnico/formale, intesa come assenza di errori nel linguaggio; ma è anche correttezza sostanziale, intesa come rispondenza del linguaggio alle regole date da chi decide a chi scrive. Chi conosce il linguaggio è necessario per scrivere le regole secondo quel linguaggio, ma anche per verificarle ex post: a chi conosce il linguaggio deve rivolgersi il Giudice in Tribunale, ma anche il committente che commissiona la scrittura in un linguaggio che gli è sconosciuto. 

Quarto punto, il linguaggio è sì incomprensibile ai più, ma questa incomprensibilità non può significare una sottrazione dalla responsabilità delle scelte che quel linguaggio ignoto è chiamato ad esprimere. La scelta rimane dell’essere umano (almeno per ora…) e specificamente dell’essere umano cui essa compete secondo i canoni consueti. Quel che cambia è il momento in cui la scelta viene a concretizzarsi ed a manifestarsi, e il modo in cui ciò avviene; quel che cambia è il momento che va investigato per verificare quella scelta. Questo momento è quello in cui si concretizza il rapporto tra chi sceglie, e chi scrive; è il momento in cui si forniscono gli input, destinati a divenire output.

Per il momento, l’essere umano continua ad avere il ruolo centrale; cambia il numero dei soggetti interessati, la qualifica di questi soggetti, la loro funzione; ma sempre di esseri umani si discute. Non sembra ancora arrivato il momento della responsabilità della macchina. Almeno per ora.

 

1. Purtroppo, nella fattispecie specifica un sindacato giurisdizionale sull’algoritmo non c’è. La sentenza infatti non è arrivata fino a questo punto, fermandosi a dichiarare la illegittimità del procedimento e dei provvedimenti impugnati per la “impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili”. Dopodichè, la assegnazione ai ricorrenti di un diverso posto è stata decisa dal Ministero, su ordine del Giudice, “al di là di automatismi informatici”, individuando (ad opera di un essere umano) “sedi disponibili in loco più coerenti con il loro profilo lavorativo e le loro richieste”.

Innovation Manager e voucher per l’innovazione: istruzioni per l’uso (parte quarta)

È in pieno svolgimento l’iter disegnato dal Mise per arrivare ad ottenere, quando la procedura si concluderà, il pagamento del Voucher per le spese di “consulenza specialistica” rese dai Manager iscritti nell’elenco Mise.

Ma che natura ha la prestazione di consulenza dell’Innovation Manager?

 

La Consulenza finanziata dal Voucher è una prestazione personale

È la legge (comma 228 dell’art. 1 della Legge n. 145/2018) a qualificare il voucher come un contributo a fondo perduto “per l’acquisto di prestazioni consulenziali di natura specialistica”; questa prestazione consulenziale, come precisa l’art. 3 del Decreto MISE 7.5.2019, è resa da “un manager dell’innovazione qualificato”
Si tratta di una prestazione personale, riconducibile ad una persona fisica ben individuata.
Quindi, l’impresa beneficiaria può sottoscrivere il contratto di consulenza specialistica anche con una società di consulenza (e soggetti equiparati: centri di trasferimento tecnologico, ecc.): ma questo non fa venire meno la natura personale della prestazione.
La definizione di “manager qualificato”, contenuta nei Decreti Direttoriali 29.7.2019 e 25.9.2019, è chiarissima: persona fisica in possesso dei requisiti…, abilitato, mediante iscrizione all’apposito elenco Mise, allo svolgimento degli incarichi manageriali oggetto del contributo”.
La definizione di “società di consulenza” è altrettanto chiara: “società operante nei settori della consulenza…ovvero centro di trasferimento tecnologico…abilitati, mediante iscrizione all’apposito elenco Mise, allo svolgimento degli incarichi manageriali…attraverso l’indicazione…di manager qualificati”.
Nella domanda di iscrizione all’elenco Mise il manager deve indicare se opera “autonomamente ovvero attraverso una società di consulenza”; la società a sua volta deve, nella propria istanza di iscrizione, “confermare la dichiarazione resa dal manager”. Quindi, perché una prestazione specialistica sia pattuita dall’impresa con una società di consulenza, questa deve sì essere iscritta nell’elenco Mise, ma deve anche avere indicato espressamente (in numero massimo di dieci) i manager qualificati che svolgeranno la prestazione; questi manager, a loro volta, devono avere già presentato la propria domanda personale di iscrizione con cui dichiarano di operare tramite la società (e la conferma resa dalla società è condizione per poter considerare perfezionata la domanda personale del manager: cfr. FAQ del Mise).
È l’indicazione del nominativo del manager, anzi di un manager che già a sua volta si sia iscritto nell’elenco Mise, il requisito che consente alla società di consulenza di entrare nell’elenco Mise e – quindi – di stipulare contratti di Innovation Management con l’impresa.
Conferma della natura personale della prestazione si ha nel fatto che anche il legale rappresentante di una società di consulenza può presentare domanda di iscrizione, dichiarando che opererà attraverso la società; ma lo può fare soltanto a condizione di possedere “in proprio” i requisiti richiesti al manager (cfr. FAQ del Mise).

 

La Consulenza finanziata dal Voucher è una prestazione riservata a soggetti abilitati
La prestazione non può essere resa da una persona fisica qualsiasi: deve trattarsi di un soggetto abilitato, e l’abilitazione è data dalla iscrizione nell’elenco Mise.
Si tratta dunque di una prestazione consulenziale riservata, nel senso che può essere svolta (ai fini del riconoscimento del contributo) soltanto da una categoria ristretta di soggetti: gli iscritti all’elenco Mise.
L’intero sistema disegnato dal legislatore e dal Mise ruota intorno all’elenco dei manager ed alla iscrizione in esso; la definizione stessa di manager “qualificato” o “esperto” enfatizza da un lato il fatto che deve trattarsi di “persona fisica in possesso dei requisiti”; dall’altro lato il fatto che deve trattarsi di un soggetto “abilitato mediante iscrizione all’apposito elenco Mise”.
Non è sufficiente il possesso dei requisiti, né un livello per quanto eccellente di competenza ed esperienza sui temi dell’innovazione: è necessaria la formale abilitazione che deriva dall’iscrizione nell’elenco.
Per consentire anche a chi non è già iscritto un futuro accesso, l’art. 4 del D.D. 29 luglio 2019 prevede che “il Ministero in considerazione delle esigenze connesse all’attuazione dello strumento agevolativo può provvedere all’aggiornamento o alla riapertura ciclica dell’elenco Mise”.

 

L’Innovation Manager è un consulente specialistico: di quale specializzazione si tratta?

Le prestazioni finanziate sono “finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali”. Questa definizione della legge è poi dettagliata, quanto agli specifici ambiti di competenza (big data, cloud computing, cyber security, ecc.) nell’art. 3 del Decreto Mise 7.5.2019.
L’Innovation Manager, dunque, è uno specialista dell’innovazione; ma lo è nel senso e nei limiti tracciati dal legislatore, che dà alla figura un perimetro normativo ben definito.
Innanzitutto, viene delineato un limite “oggettivo” dello specialista in innovazione: è il legislatore a stabilire quali sono le attività considerate “innovazione”, e lo fa sia in positivo, dicendo quali sono queste attività, sia in negativo, dicendo quali invece non lo sono.
In positivo, sono le attività comprese nei due grandi gruppi della trasformazione tecnologica e digitale  e dell’ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi; in negativo, sono le “ordinarie attività amministrative aziendali o commerciali, quali, a titolo esemplificativo, i servizi di consulenza in materia fiscale, contabile, legale, o di mera promozione commerciale o pubblicitaria” (attività queste le cui spese non sono ammissibili a contributo).
La specializzazione dell’Innovation Manager si caratterizza poi per un limite anche “soggettivo”, strettamente legato alla persona dell’esperto:  il manager non è qualificato per tutti gli ambiti della “innovazione” elencati dalla norma, ma solo per quelli che gli sono propri, e cioè quelli che ha indicato (documentando i requisiti) nella domanda di iscrizione all’elenco Mise.
Il Manager, insomma, è abilitato per gli ambiti, e solo per gli ambiti, per i quali si è dichiarato (dimostrato) specialista: e questa specializzazione, che costituisce un vero e proprio limite alla abilitazione del manager, assume rilevanza centrale, perché la spesa per il consulente è ammissibile a contributo soltanto ove sia riferibile a prestazioni “coerenti con le specializzazioni dichiarate dal manager qualificato ai fini dell’iscrizione nell’elenco Mise” (art. 6 comma 1 lett. d Decreto Direttoriale 25.9.2019).

 

Una specializzazione/abilitazione che vale ai (soli) fini dell’ammissione al voucher

L’art. 4, comma 3 del D.D. 29 luglio 2019 traccia in maniera perentoria il confine della specializzazione/abilitazione dell’Innovation Manager: “L’elenco Mise si intende valido ai fini delle agevolazioni di cui al decreto e non rappresenta, per i soggetti ivi iscritti, titolo qualificante per finalità estranee a quelle previste dal decreto medesimo”.
Non esiste una nozione “universale” di innovazione, o  di specialista in innovazione; non esiste nemmeno una “riserva” assoluta degli Innovation Manager sui temi dell’innovazione complessivamente e generalmente intesa.
Chi vanta competenza ed esperienza qualificata negli ambiti dell’innovazione, intesa qui volutamente nella sua accezione più ampia, non ha bisogno di essere iscritto nell’elenco Mise per continuare a svolgere la propria attività; chi ha bisogno di prestazioni connesse all’innovazione  non è tenuto a rivolgersi necessariamente ed esclusivamente a soggetti iscritti nell’elenco Mise.
Questo potrebbe significare che la figura del “manager qualificato” è destinata a ballare una sola stagione, quella dei Voucher già finanziati; e che l’elenco Mise esaurirà il suo scopo e la sua stessa esistenza con l’esaurimento dei fondi ad esso destinati.
Potrebbe invece accadere che lo strumento sia confermato per il futuro; oppure ancora, in una prospettiva più generale, potrebbe accadere che il legislatore decida di non lasciar morire l’articolato sistema che ha creato, e che individui nel “manager qualificato iscritto nell’elenco Mise” il primo nucleo da cui muovere per disegnare una figura professionale nuova e ancora tutta da scrivere, un vero e proprio “specialista dell’innovazione” cui riservare taluni ambiti di azione.
Il linguaggio del sito Mise, che definisce l’elenco Mise di oramai prossima pubblicazione come una “vetrina pubblica delle competenze”, offre più di una suggestione in questo senso.
Rimane da decidere, se la innovazione sia materia che richiede o giustifica, di per sé, una riserva di abilitazione che vada oltre la disciplina esistente delle competenze professionali (e forse, prima ancora, se la innovazione sia una nozione che si può ingabbiare dentro confini definiti).

 

Innovation Manager e voucher per l’innovazione: istruzioni per l’uso (parte terza)

Proseguiamo il percorso di approfondimento sugli Innovation Manager esaminando, in questa terza parte, le domande di accesso al voucher per l’acquisto di consulenze specialistiche in materia di trasformazione tecnologica e digitale a favore delle PMI e delle reti, e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni.
Di tutto questo si occupa l’ultimo Decreto Direttoriale Mise, emesso il 25 settembre 2019 e che si applica con riferimento alle risorse finanziarie stanziate per le annualità 2019 e 2020 pari a cinquanta milioni di euro, mentre i restanti venticinque milioni stanziati dalla legge n. 145/2018 saranno regolati con un decreto successivo.

 

Quali sono i tempi della procedura, dalla domanda alla erogazione del contributo?

Il Decreto 25 settembre 2019 disegna un percorso di agevolazione scandito secondo passaggi e tempistiche ben delineati:

  • verifica preliminare per l’accesso alla procedura informaticadal 31 ottobre 2019: il soggetto proponente (PMI o rete) verifica il possesso dei requisiti tecnici
  • compilazione della domanda di accesso alle agevolazionidal 7 novembre al 26 novembre 2019: il soggetto proponente accede alla procedura, immette i dati, genera la domanda e appone la firma digitale, carica la domanda e riceve il “codice di predisposizione domanda”
  • invio della domanda di accesso alle agevolazionidalle ore 10.00 del 3 dicembre 2019 e fino alla chiusura dello sportello che sarà fissata dal Mise: il soggetto proponente immette l’identificativo dell’istanza e il “codice”, “ai fini del formale invio della domanda di agevolazione”, e riceve una attestazione di avvenuta presentazione dell’istanza da parte della procedura informatica
  • verifica della domanda da parte del Mise e, in caso di accoglimento, inserimento in un provvedimento “cumulativo” di concessione delle agevolazioni pubblicato nel sito web del Ministero – entro 90 giorni dalla chiusura dello sportello: il soggetto proponente diventa soggetto beneficiario
  • (previa sottoscrizione del contratto di consulenza specialistica tra soggetto beneficiario e manager qualificato) svolgimento delle attività e pagamento del consulentedai 9 ai 15 mesi: sono la durata minima e quella massima del contratto di consulenza;
  • presentazione della richiesta di erogazione della prima quota di agevolazione pari al 50% della somma concessa – dopo l’esecuzione di almeno il 25% del contratto e il pagamento delle relative spese: la richiesta deve essere preceduta da emissione di fattura del consulente, pagamento mediante bonifico con causale specifica, liberatoria del consulente
  • pagamento della prima quota da parte del Mise, previa verifica delle condizioni per l’erogazione – entro novanta giorni dalla richiesta di erogazione
  • presentazione della richiesta di erogazione del saldo della somma concessadopo la conclusione delle attività e il pagamento delle relative spese: la richiesta deve essere preceduta da emissione di fattura del consulente, pagamento mediante bonifico con causale specifica, liberatoria del consulente, redazione di relazione tecnica sulle attività e i risultati del percorso di innovazione realizzato
  • pagamento del saldo da parte del Mise con provvedimento di assegnazione definitiva delle agevolazioni, previa verifica delle condizioni per l’erogazione – entro novanta giorni dalla richiesta di erogazione del saldo
  • svolgimento di controlli sui progetti realizzati per la verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive rilasciate in sede di richiesta di erogazione ed eventuale revoca in caso di esito negativo dei controllisenza termine predeterminato.

 

Quali sono gli aspetti più importanti cui fare attenzione?

Il quadro delineato dai Decreti è rigoroso sia sul piano formale/procedimentale, sia dal punto di vista sostanziale.
Sul piano formale/procedimentale, occorre ricordare che:

  • l’intera procedura deve essere gestita dalle PMI e dalle reti proponenti attraverso la procedura informatica accessibile nell’apposita sezione “Voucher per consulenza in innovazione” del sito web del Mise, che prevede identificazione e autenticazione tramite la Carta Nazionale dei Servizi, ovvero accreditamento preventivo e previa verifica dei poteri di firma in capo all’Organo comune ovvero al legale rappresentante per le reti senza soggettività giuridica;
  • qualsiasi domanda presentata attraverso canali diversi sarà considerata irricevibile;
  • l’incompletezza documentale è causa di inammissibilità della domanda;
  • tutti gli atti (domanda di agevolazione, richiesta di erogazione delle somme riconosciute, liberatoria del soggetto percipiente, relazione tecnica finale) devono essere redatti utilizzando gli schemi da allegati al Decreto e fornendo tutti i documenti ivi elencati;
  • i pagamenti del manager devono essere eseguiti esclusivamente tramite bonifico bancario con causale specifica comprensiva dei dati identificativi del progetto.

Sul piano sostanziale, la procedura è altrettanto rigorosa, e sono numerosi i profili cui fare attenzione per non pregiudicare l’esito positivo della domanda, come evidenzia il riepilogo sintetico dei requisiti da indicare e documentare:

ai fini della domanda di agevolazione:

  • i requisiti del soggetto proponente (inclusa la regolarità contributiva e l’assenza di inadempimenti di natura tributaria);
  • i requisiti dell’esperto qualificato (cioè l’appartenenza all’elenco Mise), che non può essere selezionato se non da un unico soggetto proponente; l’eventuale indicazione in più domande rende dunque tali domande inammissibili;
  • la esistenza di una offerta digitalmente sottoscritta del manager o della società di consulenza, identificativa della prestazione manageriale nei suoi elementi costitutivi (oggetto, costo, durata ecc.); il progetto dedotto nel contratto deve essere coerente con le specializzazioni dichiarate dal manager ai fini della iscrizione nell’elenco Mise;

ai fini della domanda di erogazione della prima quota di agevolazione:

  • la sottoscrizione di un contratto di consulenza specialistica con i requisiti previsti per l’agevolazione;
  • la realizzazione di almeno il 25% delle attività previste dal contratto; il contratto deve consentire la quantificazione dell’avanzamento
  • il pagamento delle relative spese documentato da estratto del conto corrente con liberatoria del ricevente;

ai fini della domanda di erogazione del saldo:

  • oltre ai requisiti richiesti per la prima quota, la presentazione di una relazione tecnica sulle attività e sui risultati del progetto di innovazione, eventualmente corredata da documentazione e materiali inerenti tali attività.

 

Qual è il criterio di accoglimento delle domande?

Il meccanismo di accoglimento delle domande soggiace ad un primo limite di natura sostanziale che è quello “della dotazione finanziaria” disponibile (25 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020), calcolato applicando peraltro dei criteri di riserva secondo cui una quota pari al 25 per cento è destinata alle imprese di micro e piccola dimensione e alle reti, ed una quota pari al 5 per cento è destinata alle PMI che siano in possesso del rating di legalità.
Il secondo limite del meccanismo di agevolazione è di natura temporale ed è legato ai tempi della domanda: le domande infatti sono ammesse all’istruttoria “sulla base dell’ordine cronologico di presentazione”, e quelle presentate “nelle more della chiusura dello sportello”, ma che non trovano copertura finanziaria, “si considerano decadute” (il che dovrebbe significare che non potranno valere sull’eventuale futura agevolazione per l’anno 2021).

 

Quando va sottoscritto il contratto di consulenza tra PMI/rete e Innovation Manager?

La scansione temporale prevista dal Decreto incide in maniera diretta anche sul momento di sottoscrizione del contratto di consulenza specialistica tra PMI/rete e Innovation Manager: il nominativo del manager qualificato, infatti, deve essere già indicato nella domanda di accesso al contributo (facendo attenzione a che lo stesso nominativo non venga selezionato anche da altri soggetti proponenti), ma il contratto (come già prevedeva l’art. 3 comma 6 del Decreto Ministeriale del 7 maggio 2019) deve essere necessariamente sottoscritto soltanto “successivamente alla data di presentazione della domanda di ammissione al contributo”; è stabilito anche un termine finale entro il quale il contratto deve essere stipulato, e cioè non oltre 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento di concessione delle agevolazioni sul sito web del Mise.

Innovation Manager e voucher per l’innovazione: istruzioni per l’uso (parte seconda)

Proseguiamo il nostro percorso di approfondimento sugli Innovation Manager.
Ci occupiamo questa volta dei requisiti necessari per iscriversi nell’Elenco dei manager qualificati e delle società di consulenza del Mise; come si ricorderà, l’iscrizione in questo elenco è condizione necessaria perché le imprese possano beneficiare del voucher a pagamento del compenso per i contratti di consulenza specialistica.

Quali sono i requisiti per le persone fisiche?
Se si tratta di persone fisiche, i requisiti per presentare domanda di iscrizione all’Elenco dei manager dell’innovazione si possono dividere in tre categorie.
La prima ipotesi è di essere già accreditati negli albi o elenchi istituiti presso Unioncamere, presso associazioni di rappresentanza dei manager o presso le organizzazioni partecipate pariteticamente da queste ultime e da associazioni di rappresentanza datoriali, o ancora negli elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso le regioni ai fini dell’erogazione di contributi regionali o comunitari con finalità analoghe a quelle previste dal Decreto Mise del 7 maggio 2019.
Il Regolamento per l’iscrizione all’Elenco dei Manager dell’innovazione di Unioncamere, ad esempio, prevede un sistema a punti diviso tra punteggio per “Conoscenza e Formazione” (titolo di studio, iscrizione ad albi, certificazioni professionali) e punteggio per “Esperienza lavorativa” (incarichi manageriali in innovazione, ma anche in materie diverse; esperienza specifica in Tecnologie 4.0); per incarichi manageriali si intendono contratti di lavoro, ma anche di consulenza su lettera di incarico, come il MISE ha chiarito.
La seconda ipotesi è il possesso di un titolo di studio, da solo se si tratta di dottorato di ricerca, oppure in combinazione con il possesso di esperienza professionale sotto forma di “incarichi documentabili presso imprese” in ambiti di innovazione; la durata dell’esperienza professionale è inversamente professionale al livello del titolo di studio (un anno per un master di secondo livello, tre per la laurea magistrale).
La terza ipotesi si basa sulla sola esperienza lavorativa, e richiede che il soggetto abbiano svolto incarichi documentabili presso imprese per almeno sette anni.

Quali sono i requisiti per le società di consulenza?
Possono presentare domanda di iscrizione all’Elenco dei manager dell’innovazione anche le società operanti nei settori di consulenza (sulla base delle informazioni desumibili dall’oggetto sociale e in relazione alle attività dichiarate al Registro imprese, come precisato dal MISE) che, al momento della presentazione della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti:

  1.  abbiano sede legale e/o unità locale attiva sul territorio nazionale e risultino iscritte al Registro delle imprese della Camera di commercio territorialmente competente;
  2. siano costituite in forma di società di capitali;
  3. non siano sottoposte a procedura concorsuale e non si trovino in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o di qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente;
  4. non abbiano subito condanne con sentenza definitiva o decreto penale di condanna o sentenza di applicazione della pena su richiesta per i reati indicati nell’articolo 80 del Codice dei Contratti Pubblici;
  5. abbiano eseguito progetti di consulenza o formazione in una o più aree di innovazione e siano costituite da almeno 24 mesi, oppure siano accreditate negli albi o elenchi dei consulenti in innovazione istituiti presso le associazioni di rappresentanza dei manager o presso le organizzazioni partecipate pariteticamente da queste ultime e da associazioni di rappresentanza datoriali, ovvero presso regioni o le provincie autonome ai fini dell’erogazione di contributi regionali o comunitari aventi finalità analoghe a quelle previste dal Decreto Mise del 7 maggio 2019.
    E’ importante sottolineare che le società sono tenute ad indicare i nominativi dei manager che svolgeranno gli incarichi, ed i manager a loro volta devono possedere i requisiti previsti.

Chi può ancora presentare domanda di iscrizione all’Elenco?
Possono presentare domanda inoltre:

  1.  i centri di trasferimento tecnologico in ambito industria 4.0 ovvero i centri di competenza ad alta specializzazione;
  2.  gli incubatori certificati di start-up innovative, iscritti alla sezione speciale del Registro delle Imprese.
    Anche questi soggetti devono indicare i manager in possesso dei requisiti.

Quanti manager possono indicare le società?
Le società operanti nei settori di consulenza, così come i centri di competenza e gli incubatori, possono indicare al massimo dieci nominativi di manager destinati allo svolgimento degli incarichi di consulenza specialistica. Secondo quanto chiarito dal MISE, anche il legale rappresentante della società di consulenza può rientrare nell’elenco ma solo se possiede personalmente i requisiti ; la prestazione di consulenza specialistica, in altre parole, è consulenza della persona fisica ed è riservata ai soggetti “abilitati”.

Quanti incarichi possono assumere gli Innovation Manager iscritti nell’elenco?
Una volta iscritto nell’elenco, ogni manager (sia che risulti iscritto personalmente, sia che venga indicato da una società) può stipulare, nell’arco dello stesso anno solare, un solo contratto di consulenza di cui al decreto.

Innovation Manager e voucher per l’innovazione: istruzioni per l’uso (parte prima)

Dalle ore 10:00 di oggi 27 settembre 2019 è aperto il termine per presentare al Ministero dello Sviluppo Economico le istanze di iscrizione nel nuovo “elenco Mise” dei cosiddetti Innovation Manager, cioè i Manager qualificati della cui consulenza specialistica le imprese potranno avvalersi beneficiando, a domanda, del contributo a fondo perduto in forma di voucher per l’acquisto di consulenze specialistiche in materia di processi di trasformazione tecnologica e digitale.

Seguiremo, con le nostre ISTRUZIONI PER L’USO, il percorso di questa agevolazione nella sua disciplina normativa e nella sua applicazione pratica, ad oggi tutte da esplorare in un quadro regolatorio in fase di completamento. E’ di poche ore fa la notizia (e la pubblicazione nel sito del MISE) del decreto che regola la presentazione delle domande per la concessione del Voucher, e ce ne occuperemo a brevissimo.

Prima, però, facciamo il punto: cos’è il Voucher per l’Innovazione? Chi sono gli Innovation Manager? Chi può chiedere il contributo?

A queste domande diamo risposta in questa prima puntata del nostro manuale di istruzioni. Analizzeremo, nelle prossime puntate, i requisiti dei consulenti, le attività che possono essere finanziate, modalità e tempi delle domande di voucher, ma anche aspetti più trasversali, quali sono quelli connessi alla natura del rapporto tra impresa e manager, agli obblighi delle parti, alle responsabilità, ai benefici.

 

Cos’è il Voucher per l’Innovazione?
Con la legge di bilancio 2019 (art. 1 commi 228, 230, 231 L. 30 dicembre 2018, n. 145) è stato previsto un contributo a fondo perduto, nella forma di voucher, per l’acquisto di prestazioni consulenziali di natura specialistica, finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.

Per tale fine il Governo ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, un fondo con una dotazione pari a 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020, 2021.

 

Chi può beneficiare del Voucher?
Possono richiedere il voucher le imprese che, sia alla data di presentazione della domanda, sia alla data di comunicazione dell’ammissione al contributo, sono in possesso dei requisiti stabiliti dall’art. 2 del Decreto Mise 7 maggio 2019; in particolare:

  • devono qualificarsi come micro, piccola o media impresa secondo la normativa europea, indipendentemente dalla forma giuridica, dal regime contabile adottato e dalla modalità di determinazione del reddito a fini fiscali;
  • non devono rientrare tra le imprese attive nei settori esclusi dall’art. 1 del Reg. UE n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013;
  • devono avere sede legale e/o unità locale attiva sul territorio nazionale e risultare iscritte al Registro delle imprese della Camera di Commercio territorialmente competente;
  • non devono essere destinatarie di sanzioni interdittive ai sensi dell’articolo 9, comma II, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 e devono risultare in regola con il versamento dei contributi previdenziali;
  • non devono essere sottoposte a procedura concorsuale e non devono trovarsi in stato di fallimento, o in qualsiasi altra situazione equivalente ai sensi della normativa vigente;
  • non devono aver ricevuto o successivamente non rimborsato o depositato in un conto bloccato aiuti sui quali pende un ordine di recupero, a seguito di una precedente decisione della Commissione Europea che dichiara l’aiuto illegale e incompatibile con il mercato comune.

Inoltre possono beneficiare del contributo anche le imprese che, in possesso dei requisiti di cui sopra, sono aderenti ad un contratto di rete, a condizione che tale contratto si configuri come una collaborazione effettiva e stabile e preveda nel programma comune lo sviluppo di processi innovativi in materia di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal piano nazionale di impresa 4.0, e o lo sviluppo di processi innovativi in materia di organizzazione, pianificazione e gestione delle attività, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.

 

Quali sono le spese ammissibili?
L’art. 3 del Decreto Mise 7 maggio 2019 specifica che sono ammissibili le spese sostenute a titolo di compenso per le prestazioni di consulenza specialistica rese da un manager dell’innovazione qualificato ed indipendente, inserito temporaneamente nella struttura organizzativa dell’impresa o della rete con un contratto di consulenza non inferiore a nove mesi, al fine di indirizzare o supportare i processi di innovazione e trasformazione tecnologica e digitale.

Il manager qualificato deve essere iscritto nell’apposito elenco istituito presso il Mise, previa apposita domanda. Possono iscriversi nell’elenco anche le società operanti nel settore della consulenza, indicando al massimo dieci nominativi di manager in possesso dei requisiti.

 

Quali sono le regole per l’iscrizione nell’Elenco dei Manager Qualificati e delle Società di Consulenza?
Secondo quanto stabilisce il Decreto Mise 7 maggio 2019 possono presentare domanda di iscrizione all’elenco le persone fisiche che, al momento della presentazione della domanda, siano accreditate negli albi o elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso Unioncamere, presso associazioni di rappresentanza dei manager o presso le organizzazioni partecipate pariteticamente da queste ultime e da associazioni di rappresentanza datoriali; ovvero siano accreditate negli elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso le regioni ai fini dell’erogazione di contributi regionali o comunitari con finalità analoghe a quelle previste dal Decreto.

Il Decreto prevede inoltre che possano presentare la domanda i centri di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, i centri di competenza ad alta specializzazione, gli incubatori certificati di start-up innovative.

Con il Decreto Direttoriale del 29 luglio 2019, il Mise ha specificato modalità e termini per la presentazione delle domande di iscrizione all’elenco: la presentazione può avvenire esclusivamente tramite procedura informatica, accessibile nell’apposita sezione “Voucher per consulenza in innovazione” dal sito web del Ministero, dalle ore 10:00 di oggi 27 settembre 2019, alle ore 17:00 del 25 ottobre 2019.

 

A quanto ammonta il contributo?
Per le imprese che rientrano nella definizione di micro e piccola imprese, il contributo è riconosciuto in maniera pari al 50 per cento delle spese ammissibili, come indicate all’art. 3 sopracitato, nel limite massimo di 40.000 euro.

Per le imprese medie, il contributo è attribuito nella misura pari al 30 per cento delle spese ammissibili e nel limite massimo di 25.000 euro.

Qualora la domanda sia presentata da una rete di imprese, il contributo è in ogni caso fissato in misura pari al 50 per cento delle spese ammissibili e nel limite massimo complessivo di 80.000 euro.

Il provvedimento del Garante della Privacy n. 146, del 5 giugno 2019: nuove prescrizioni relative al trattamento di particolari categorie di dati

Con il provvedimento del 5 giugno 2019, n. 146, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 176 del 29 luglio 2019, il Garante per la protezione dei Dati personali emana il “Provvedimento recante le prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati, ai sensi dell’art. 21, comma 1 del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101”.

Come recita il titolo del Provvedimento, l’art. 21 del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante le “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 (…)” prevede che il Garante per la protezione dei dati personali emani “le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni generali già adottate, relative alle situazioni di trattamento di cui agli articoli 6, paragrafo 1, lettere c) ed e), 9, paragrafo 2, lettera b) e 4, nonché al capo IX del regolamento (UE) 2016/679, che risultano compatibili con le disposizioni del medesimo regolamento e del presente decreto” e, ove occorra, provveda al loro aggiornamento. La norma, al secondo comma, statuisce anche che “Le autorizzazioni generali sottoposte a verifica (…) che sono state ritenute incompatibili con le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/279 cessano di produrre effetti dal momento della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del provvedimento di cui al comma 1”.

Il Garante della Privacy, aggiorna e modifica le disposizioni contenute nelle autorizzazioni generali n. 1/2016, n. 3/2016, n. 6/2016, n. 8/2016 e n. 9/2016 precedentemente adottate, ove necessario a renderle conformi al regolamento 679/2016.

Il Provvedimento è suddiviso in cinque parti:

  1. “trattamento di categorie particolari di dati nei rapporti di lavoro (aut. gen. n. 1/2016)”;
  2.  “trattamento di categorie particolari di dati da parte degli organismi di tipo associativo, delle fondazioni, delle chiese e associazioni o comunità religiose (aut. gen. n. 3/2016)”;
  3.  “trattamento di categorie particolari di dati da parte degli investigatori privati (aut. gen. n. 6/2016)”;
  4.  “trattamento dei dati genetici (aut. gen. n. 8/2016)”;
  5. “trattamento dei dati personali effettuato per scopi di ricerca scientifica (aut. gen. n. 9/2016)”.

I soggetti interessati ai quali le categorie particolari di dati si riferiscono, indicati all’art. 2.2, sono i candidati all’instaurazione dei rapporti di lavoro, i lavoratori subordinati, i consulenti e liberi professionisti, gli agenti, i rappresentanti, i soggetti che svolgono collaborazioni organizzate dal committente, le persone fisiche che ricoprono cariche sociali o altri incarichi nelle persone giuridiche, i terzi danneggiati nell’esercizio dell’attività lavorativa o professionale ed i terzi per il rilascio di agevolazioni e permessi.

Individuati i soggetti interessati, in particolare finalità il provvedimento stabilisce che il trattamento delle particolari categorie di dati, così come indicate dall’art 9 del GDPR, può avvenire solo se necessario al raggiungimento di particolari finalità “Prescrizioni specifiche relative alle diverse categorie di dati”, individuati gli articoli 13 e 14 del Regolamento Europeo che riguardano i trattamenti compiuti nella fase preliminare delle assunzioni, e quelli effettuati nel corso del rapporto di lavoro.

In fine si evidenzia, che vi è particolare attenzione, al consenso dell’interessato per il trattamento dei dati genetici, che diventa necessario in quattro determinati casi: a) per “finalità di tutela della salute di un soggetto terzo (…)”; b) per “lo svolgimento di test genetici nell’ambito delle investigazioni difensive o per l’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, salvo che un’espressa disposizione di legge, o un provvedimento dell’autorità giudiziaria in conformità alla legge disponga altrimenti”; c) per “i trattamenti effettuati mediante test genetici, compreso lo screening, a fini di ricerca o di ricongiungimento familiare. (…)”; d) per “finalità di ricerca scientifica e statistica non previste dalla legge o da altro requisito specifico di cui all’art. 9 del Regolamento”.

In conclusione si deve sottolineare l’importanza e il rilievo, che sancisce un adeguato aggiornamento e adempimento dei principi contenuti e previsti nel regolamento (UE 2016/679).

 

Il testo del provvedimento è reperibile al seguente link: gazzettaufficiale.it

Responsabilità in solido del committente: l’azione dell’Inps per il pagamento dei contributi non è soggetta al termine di decadenza

La disciplina della responsabilità in solido tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori nell’adempimento degli obblighi retributivi e contributivi in favore dei lavoratori impiegati nell’appalto è stata al centro del dibattito giurisprudenziale e dottrinario fin dalla introduzione dell’articolo 29 del d. lgs. n. 276/2003 (ed anzi, prima ancora, fin dalla introduzione della Legge n. 1369/1960 in tema di interposizione illecita di manodopera).

Lo stesso legislatore è intervenuto più volte sul testo della norma, variandone il contenuto con plurime, successive, modifiche; ciò con il risultato che la medesima fattispecie, verificatasi in tempi diversi, è soggetta a diverso trattamento, in conseguenza della formulazione della norma ratione temporis applicabile.

Nel testo attualmente vigente il comma secondo dell’articolo 29 prevede che in caso di appalto (sia di lavori che di servizi) il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore e con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite dei due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione dell’appalto. Non è più consentito al committente, in caso di eventuale contenzioso, eccepire la preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore e del subappaltatore (facoltà introdotta nel 2012 e rimasta in vigore fino al 17.3.2017).

L’intento perseguito dal legislatore con la norma in esame, pur se modificata nel tempo, è da sempre stato quello di implementare le tutele dei lavoratori impiegati nell’appalto rafforzando l’adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali; ratio della norma è infatti quella di incentivare un utilizzo più virtuoso dei contratti di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori affidabili, per evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto e utilizzazione della prestazione vadano a danno del lavoratore (Cass. 31768/2018).

La questione della responsabilità solidale tra committente ed appaltatore è stata di recente affrontata dalla Suprema Corte con particolare riferimento alla solidarietà sotto il profilo contributivo.
Il caso oggetto di giudizio prende le mosse da un verbale ispettivo con il quale l’INPS aveva ritenuto la responsabilità solidale del committente per il debito contributivo dell’appaltatore ammontante a 274.810,00 euro. A seguito del giudizio instaurato dal committente, in entrambi i gradi di merito era stata ritenuta l’inefficacia del verbale ispettivo per intervenuta decadenza in quanto, al momento della notifica della memoria riconvenzionale da parte dell’INPS, erano decorsi i due anni dalla cessazione dell’appalto.

La Suprema Corte ha ribaltato le due decisioni di merito, stabilendo che “il termine di due anni previsto dal D. Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione”.

Secondo la Corte, infatti, l’obbligazione contributiva è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva, ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente, il cosiddetto “minimale contributivo” strutturato dalla legge in modo imperativo. Le peculiarità della obbligazione contributiva non sono coerenti con una interpretazione che, applicando l’istituto della decadenza anche all’ente previdenziale, comporterebbe la possibilità “che alla corresponsione di una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore – non possa seguire il soddisfacimento dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto”.

L’INPS può pertanto agire per il recupero dei contributi dal debitore solidale nel termine di prescrizione quinquennale e senza alcun termine decadenziale.

Il committente responsabile in solido, tuttavia, è tenuto alla corresponsione dei soli contributi e non anche delle sanzioni civili che rimangono a carico del solo soggetto inadempiente; ciò con riferimento agli inadempimenti contributivi successivi al 10.2.2012, mentre per gli inadempimenti precedenti a tale data la solidarietà resta estesa anche alle sanzioni. In questo senso si è infatti espressa un’altra recente pronuncia della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 20413 pubblicata in data 29.7.2019, ha affermato che la norma che ha escluso la solidarietà per le sanzioni (nella specie l’art. 21, comma 1, del D.L. n. 5/12 convertito dalla Legge n. 35/12) non ha valore di interpretazione autentica e, pertanto, non ha effetto retroattivo.

Progettazione degli impianti: ingegnere, architetto o entrambi?

La progettazione degli impianti è riserva esclusiva dell’ingegnere o è competente anche l’architetto?

Sul tema è ritornato il TAR Campania con la sentenza n. 4169/2019 dell’8 maggio 2019 pubblicata il 30 luglio 2019, affermando che “tutte le progettazioni tecniche che non attengono all’edilizia civile rientrano nell’ambito delle competenze dei soli ingegneri, mentre la progettazione attinente all’edilizia civile può essere svolta anche dagli architetti, oltre che dagli ingegneri”.

In un appalto per l’affidamento dei lavori di realizzazione di un nuovo reparto Speciale Unità Accoglienza Permanente S.U.A.P. nel Plesso ospedaliero di Gragnano, il bando prevedeva la formulazione, nell’offerta, di “Proposte tecniche integrative e migliorative” del sistema impiantistico del gas medicale e dell’illuminazione; la lex specialis richiedeva, inoltre, che “tutta la documentazione dovrà essere timbrata e sottoscritta in ogni pagina da un professionista abilitato Ingegnere e/o Architetto, iscritto all’Ordine Professionale ed in possesso di laurea magistrale o quinquennale – pena l’esclusione dalla procedura”.

Il TAR Campania ha annullato l’aggiudicazione disposta in favore di una ATI che aveva presentato la sua offerta tecnica, per la parte relativa alla componente impiantistica dei gas medicali, a firma di un architetto.
Secondo i Giudici, ciò costituisce violazione degli articoli 51, 52 e 54 del r.d. 23.10.1925 n. 2537 recante regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto.
L’art. 51 riconosce spettanti alla professione d’ingegnere le progettazioni per le costruzioni e per le industrie, per i lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, per le costruzioni di ogni specie, per le macchine e gli impianti industriali, nonché in generale applicative della fisica, con i rilievi geometrici e le operazioni di estimo; ai sensi dell’art. 52, invece, formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative, ad eccezione delle opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico e il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legislazione sui beni culturali, che sono di spettanza esclusiva della professione di architetto.

Secondo il TAR, “in sostanza, la competenza professionale dell’architetto concorre con quella dell’ingegnere per la progettazione delle sole opere di edilizia civile, essendo riservate alla professione ingegneristica le progettazioni di tutti i lavori non compresi nella costruzione di edifici” (cfr. TAR Campania, Napoli, I Sez. I, 20 aprile 2016 n. 1968; Id. 14 settembre 2016, n. 4299)”.
Il principio sancito dalla sentenza è che “in estrema sintesi tutte le progettazioni tecniche che non attengono all’edilizia civile rientrano nell’ambito delle competenze dei soli ingegneri, mentre la progettazione attinente all’edilizia civile può essere svolta anche dagli architetti, oltre che dagli ingegneri (cfr. TAR Campania, Sez. I, 15 gennaio 2019, n. 231)”.

La proposta doveva pertanto essere sottoscritta da un ingegnere, in quanto unico tecnico abilitato a farlo, “non potendo la lex specialis derogare al riparto di competenze legislativamente disegnato, ma anzi dovendo essere letta (in tal senso deve intendersi l’alternativa “e/o di cui al Disciplinare) come operante un rinvio alle predette norme di legge”.

Due passaggi della sentenza vanno sottolineati.

In uno il Collegio si interroga su cosa siano le progettazioni “attinenti all’edilizia civile” di competenza anche degli architetti, ed esclude che sia tale la progettazione di “un impianto relativo a gas medicali, ovvero una tipologia di intervento che non rientra nell’ambito delle opere ancillari a quelle civili (ad esempio impianti idraulici ed elettrici ad uso abitativo) sulle quali si potrebbe ipotizzare una competenza anche degli architetti, trattandosi di opere, appunto, normalmente collegate a quelle edili/civili”. Secondo il Collegio, si tratta di un impianto che “è autonomo rispetto alle opere edilizie ed è verosimilmente connotato da proprie peculiarità tecniche di tipo ingegneristico”: autonomia dell’impianto rispetto all’opera edile e peculiarità tecnica-ingegneristica sarebbero dunque i due criteri da considerare.

Il secondo passaggio interessante, sempre nella prospettiva di individuare quali interventi siano “ancillari” a quelli civili e quindi progettabili anche dall’architetto, è quello in cui il TAR esclude che possa avere rilevanza “l’incidenza percentuale di tale lavorazione rispetto a quelle complessivamente richieste (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018, n. 2018)”: nel caso di specie, il valore delle componenti impiantistiche era inferiore al dieci per cento del totale delle opere.

Il Regolamento UE 2016/679 a poco più di un anno dall’entrata in vigore

È trascorso ormai poco più di un anno dal 25 maggio 2018 data di entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679, denominato GDPR, avente ad oggetto la protezione delle persone fisiche ed il trattamento dei dati personali, che ha comportato l’adeguamento, in data 19 settembre 2018, della normativa nazionale vigente in materia di privacy.

Ed il 20 maggio 2019 è scaduto il c.d. periodo di moratoria, previsto dal D.Lgs. 101/2018, che prevedeva per i primi otto mesi di applicazione del Regolamento che il Garante tenesse conto, ai fini della applicazione delle sanzioni in esso prescritte, della prima fase di avvio del GDPR.

Ora, a partire dal 20 maggio 2019, il Garante, in collaborazione con la Guardia di Finanza, può applicare pienamente tutte le sanzioni amministrative, civili e penali previste dal GDPR nel caso di inosservanza della normativa in materia di privacy, senza alcuna tolleranza.

La nuova normativa, come è noto, ha introdotto importanti modifiche e nuovi adempimenti aventi impatto su aziende, professionisti ed enti pubblici nella disciplina di trattamento dei dati, imponendo un riesame sia della struttura organizzativa dell’impresa e delle sue procedure, sia delle misure di sicurezza informatica.

Nello specifico, la nuova normativa ha previsto, pena l’applicazione di pesanti sanzioni amministrative, civili e penali, l’adempimento di numerosi obblighi, che possono essere così riassunti:

  1. responsabilizzazione dei titolari e dei responsabili del trattamento di dati personali, sui quali incombe l’onere di dimostrare la concreta adozione all’interno del proprio sistema privacy di misure tecniche ed organizzative finalizzate ad assicurare l’applicazione del regolamento (c.d. principio dell’accountability);
  2. valutazione da parte del titolare dei rischi privacy inerenti i trattamenti effettuati (c.d. risk assessment) oltre all’obbligo di effettuare “valutazioni di impatto” (c.d. “privacy impact assessment”) prima di procedere ad un trattamento di dati che “possa presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà”;
  3. individuazione ed adozione di misure di sicurezza “adeguate” per prevenire eventuali violazioni dei dati;
  4. revisione ed implementazione delle informative privacy;
  5. revisione dell’organigramma privacy: nomina dei responsabili del trattamento con apposito atto giuridico scritto e nomina per i titolari del trattamento che presentino i requisiti dettati dall’articolo 37 GDPR del «Responsabile della Protezione dei Dati» (c.d. Data Protection Officer o DPO);
  6. adozione del registro di trattamento dei dati (fortemente consigliato dal Garante per tutti i soggetti).

Al fine di garantire la corretta applicazione dei principi stabiliti dal Codice e sensibilizzare i soggetti tenuti all’adempimento degli obblighi prescritti dal GDPR sull’importanza e sul rispetto della nuova normativa, il Garante ha emesso fin dall’entrata vigore del Regolamento UE una serie di provvedimenti, linee guida e newsletter, che ha reso disponibili sul proprio sito, volti principalmente a fornire indicazioni di carattere generale in relazione al trattamento di dati personali in vari ambiti e a far conoscere tutti gli adempimenti necessari in ogni settore.

In particolare, tra i provvedimenti più rilevanti si richiama quello del 30.04.2019 in materia di data breach, in relazione al quale il Garante ha stabilito che le comunicazioni agli utenti non devono essere generiche, ma devono consentire alle persone di comprendere i rischi e proteggere i loro dati; il provvedimento del 7.03.2019 in materia sanitaria, in relazione al quale il Garante ha fornito precise e puntuali indicazioni sul trattamento dei dati sulla salute in ambito sanitario; il provvedimento del 28.2.2019 relativo al trattamento di dati personali dei dipendenti mediante dispositivi indossabili, in relazione al quale il Garante ha raccomandato l’adozione di dispositivi che per le loro caratteristiche esteriori non siano lesivi della dignità del dipendente e che comunque non siano percepiti come tali dallo stesso; la newsletter del 7.02.2019 con la quale il Garante ha precisato il ruolo e la responsabilità dei consulenti del lavoro nel trattamento dei dati personali della clientela, identificandoli come “responsabili del trattamento” quando trattano dati dei dipendenti dei clienti in base all’incarico da questi ricevuto.

In data 18.4.2019 il Garante ha pubblicato il bilancio relativo al primo anno dalla entrata in vigore del GDPR: al 31 marzo scorso sono stati registrati 7.219 reclami e ben 946 notifiche di data breach, di cui 641 solo negli ultimi sei mesi; a questi dati si aggiungono quasi 20.000 contatti con l’Ufficio relazioni del Garante, e quasi 50.000 comunicazioni dei dati di contatto dei Responsabili della Protezione dei Dati.

Come sopra evidenziato, a distanza di quasi un anno dalla emanazione del GDPR ed in previsione della emanazione del Cybersecurity Act è necessario porsi una domanda e, più precisamente, le PMI come intendono affrontare in relazione al principio di accountability la gestione del dato così come precisato e statuito dal Regolamento europeo?

La risposta non è semplice e la strada è ancora lunga sicuramente per tutti i soggetti destinatari di questa normativa.

Certamente i concetti di decisioni automatiche e di profilazione nel mondo della cyber security sono di basilare importanza per poter garantire l’efficacia di un sistema che deve essere sia organizzato che rispettoso di tutta la normativa nazionale ed europea.

Auto elettrica sicurezza sul lavoro

Dalla Electric Car alla Driverless Car: profili giuridici

Queste brevi note sono la sintesi dell’intervento dell’avv. Giovanni Scudier, con la collaborazione tecnica dell’ing. Guido Cassella, al Convegno organizzato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Padova il 29 maggio 2019 sul tema

“ELECTRIC CAR SAFETY. SINERGIE PER UNA SICUREZZA A 360°”

I veicoli elettrici rappresentano un fenomeno oramai diffuso, e sicuramente destinato a crescere fortemente. I numeri di ACI Italia illustrati al Convegno dicono che al 2018 su un parco veicoli di 51.682.370 unità la percentuale di elettrici era pari allo 0.056% e quello di ibridi allo 0,476; specificamente per le autovetture su 39.018.170 unità l’elettrico era pari allo 0,031% e l’ibrido allo 0,627. Sono numeri percentuali ancora ridotti ma con crescita esponenziale negli ultimi tre anni, e comunque numeri già importanti in termini assoluti visto che si parla di circa trecentomila autovetture già in circolazione. Secondo un’indagine di Boston Consulting Group, entro il 2030 i veicoli elettrici rappresenteranno il 30% di tutte le automobili e camion su strada e il 50/60% delle vendite di auto.

E’ inevitabile allora che di auto elettrica abbiano cominciato ad occuparsi anche i Giudici: è del 17 gennaio di quest’anno 2019 una sentenza del Tribunale Civile di Crotone che ha condannato una società a risarcire i danni causati al proprietario di una vettura per l’incendio della stessa, innescatosi spontaneamente mentre si trovava parcheggiata e causato, come accertato dal giudizio, da un malfunzionamento dell’impianto ibrido. Non è tuttavia questo il tema dell’intervento, e la sentenza non riguarda il tema della sicurezza sul lavoro ma tratta la vicenda nella prospettiva, comunque destinata ad assumere rilievo, del danno causato da difetto del prodotto di cui al Codice del Consumo, parte quarta titolo secondo; però è una pronuncia che va citata, vuoi perché riguarda comunque il tema delle peculiarità tecniche del motore elettrico (affrontate direttamente in sentenza), vuoi perché quando un nuovo fenomeno industriale e sociale “entra” nella giurisprudenza, questo ha comunque un suo valore anche simbolico.

Le implicazioni dell’auto elettrica per la sicurezza del lavoro sono numerose, e la prospettiva della tutela del soccorritore (che costituisce l’oggetto di questo Convegno) ne è uno dei profili principali. Chi interviene in soccorso dopo un incidente ad auto elettrica è tipicamente un lavoratore che opera nell’ambito di una organizzazione; si tratta dunque tipicamente di rischio lavorativo, e di valutazione del rischio.

Sul piano soggettivo, è opportuno osservare che per soccorritore non dobbiamo intendere soltanto il Vigile del Fuoco, e neppure soltanto gli altri soggetti appartenenti alle diverse Istituzioni coinvolte in caso di eventi (Carabinieri, Polizia, Polizia Locale, ecc.); soccorritore è chiunque intervenga nel contesto di una situazione di anomalia nell’utilizzo dell’autovettura a causa di incidente, guasto o altro: ivi compresi quindi gli operatori del soccorso stradale, meccanici, carrozzieri, operatori delle aziende proprietarie dei mezzi, e così via. Il rilievo è importante perché, se il problema nasce dalla presenza di peculiari rischi propri del veicolo elettrico e in particolare nel caso del soccorso dalla situazione di anomalo funzionamento o di incidente, chiunque venga a contatto con il veicolo rappresenta un soggetto da tutelare; quindi per qualunque organizzazione cui quel soggetto appartiene la tutela costituisce uno specifico obbligo giuridico, ma prima ancora una esigenza di natura organizzativa ed operativa da gestire.

Sul piano oggettivo, il tema della “Electric Car Safety” si sviluppa essenzialmente attorno ad un dato di fondo: il veicolo elettrico è contraddistinto dalla presenza di rischi lavorativi peculiari, intimamente connessi alla innovativa fonte di alimentazione che lo caratterizza.

Il Convegno ha indicato questi rischi, alcuni dei quali noti, altri intuibili, altri per certi versi più sorprendenti o per così dire inattesi: i rischi legati al pacco batterie (corto circuito, surriscaldamento); il fenomeno del “thermal runaway” (aumento progressivo della temperatura della batteria che porta ulteriore aumento fino ad un risultato distruttivo, non necessariamente in tempi rapidi); il telaio caricato elettricamente (per valori assai elevati ed estremamente pericolosi per l’uomo e financo letali) in conseguenza dell’incidente; il rilascio di gas tossici; ultimo ma non certo per importanza, il rischio dovuto ad un ambiente non sicuro ma non percepibile come tale.

Un veicolo elettrico presenta al soccorritore (in senso lato), ma in ultima analisi ad ogni utente (e ad ogni organizzazione che ne faccia uso) rischi diversi da quelli di un veicolo tradizionale; vista la rapidissima evoluzione tecnologica, spesso non sono note al soccorritore le specifiche tecniche per l’intervento, fino addirittura ai casi estremi di non sapere se quel veicolo sia elettrico o meno.

Se i rischi sono nuovi, gli strumenti per valutarli e prevenirli sono però quelli noti: le misure generali di tutela del Decreto 81/08 sono utilizzabili appieno, e in questo senso la Electric Car presenta una fondamentale differenza rispetto alla Driverless Car. L’auto a guida autonoma presenta altri e ben diversi problemi di natura giuridica, che ad oggi non appaiono risolvibili se non mettendo pesantemente mano all’apparato normativo esistente, non soltanto ad esempio in punto di disciplina del codice della strada, di responsabilità di conducente e proprietario, di nuove regole assicurative, di rilevanza dell’infrastruttura, ma prima ancora in punto di qualificazione giuridica della Intelligenza Artificiale: basti pensare alla diversità di opinioni tra il Parlamento Europeo che propone di considerare i robot come “persone elettroniche” ed il Comitato Economico e Sociale Europeo dichiaratamente contrario a riconoscere ai robot o ai sistemi di IA una qualche forma di personalità giuridica.

Per la Electric Car odierna, l’apparato normativo esistente è più che adeguato a valutarne l’impatto sul mondo del lavoro e a disciplinarne in via preventiva gli effetti.

Gli strumenti sono quelli consueti: la valutazione del rischio, la definizione delle misure di prevenzione e protezione, la formazione e l’informazione dei lavoratori, e così via. Possono essere nuovi i rischi e quindi imporre un’esigenza di attenzione specifica rispetto al “veicolo” o alla “autovettura” come fino ad oggi tradizionalmente gestita; ma sono strumenti il cui utilizzo non presenta profili giuridici ignoti.

Si deve e si può pensare dunque all’introduzione di misure di prevenzione specifiche, già attuate nelle esperienze più avanzate e qualificate, a partire dal mondo della competizione sportiva illustrato nel Convegno in maniera illuminante: tappetino di gomma nel luogo di intervento, guanti e scarpe ad alto isolamento, gomma per isolare il veicolo, divieto di toccare il mezzo e così pure il conducente, procedure per lo spostamento del mezzo senza venire a contatto pericoloso con lo stesso. Non sono queste note a voler trattare il tema tecnico; questi accorgimenti si richiamano qui sia per osservare come la novità sta nella misura da adottare, ma non invece nella modalità di valutazione e gestione del rischio, sia per rilevare la difficoltà di trasferire al mondo “ordinario” esperienze di alta sofisticazione proprie di un mondo che ha nella sperimentazione di soluzioni innovative la sua stessa essenza.

Ciò che contraddistingue il mondo “ordinario” è il rischio, sopra richiamato come uno dei più subdoli, della mancanza di percezione del rischio stesso, intimamente collegato alla mancanza di conoscenza delle caratteristiche del mezzo e financo della sua natura di mezzo elettrico.

Per un soccorritore, questo si traduce in una esigenza di informazione sul veicolo medesimo, e nella necessità quindi di disporre di un sistema di identificazione di esso (ad esempio tramite l’accesso a banche dati, legate al numero di targa o simili); per chi interviene invece operando all’interno della stessa organizzazione/ente/azienda che utilizza il veicolo, l’esigenza di informazione si colloca a monte tra gli obblighi del datore di lavoro e dell’organizzazione stessa.

Risalta la necessità di valorizzare vieppiù il coinvolgimento dell’intera filiera dei soggetti interessati, coinvolgimento che il Decreto 81/08 già ampiamente prevede allorchè attribuisce ruoli rilevanti non soltanto al datore di lavoro ed alla sua organizzazione, ma anche al progettista, al costruttore, all’installatore; sicuramente risalta l’importanza che la tutela del lavoratore per tutte le fasi e tutti i casi di vita del veicolo sia presa in considerazione, per usare una terminologia oramai abituale, “by design”, fin da quando il veicolo viene pensato; e questo non soltanto attraverso la realizzazione di una sicurezza tecnica (sistemi di messa in sicurezza automatica, sistemi di protezione delle batterie, realizzazione di punti di taglio), ma anche attraverso l’attuazione di sistemi informativi (diversa colorazione dei cavi in tensione, segnalazioni luminose che indicano se il veicolo è in tensione oppure no; ma anche, a monte, strumenti per la identificazione del veicolo e della sua natura di mezzo elettrico).

L’analisi dei rischi del soccorso, in questo modo, diventa uno spunto formidabile da cui partire per valutare i rischi del veicolo elettrico in tutta la sua vita: i rischi dell’incidente e dell’intervento,  ma anche i rischi legati al suo impiego (da leggere anche nella prospettiva dell’uso “che si può ragionevolmente attendere”), alla sua custodia e parcheggio (con tutte le ricadute in tema, ad esempio, di gestione della prevenzione incendi dei locali a ciò dedicati, problema che va oltre i luoghi di lavoro e interessa per ovvi motivi tutti gli spazi anche privati, a partire dai condomini), i rischi legati alla manutenzione (tema di straordinaria rilevanza per il pacco batterie) ed alla riparazione. Lo smaltimento delle batterie, argomento tanto importante quanto frequentemente citato, rappresenta soltanto l’ultimo evento di un ciclo di vita la cui gestione impegna l’organizzazione fin da ben prima che la scelta di acquisto di un veicolo elettrico sia realizzata.

Le sfide dell’auto elettrica sono sfide grandi, anche per la sicurezza sul lavoro; lo diventeranno tanto più quanto più l’evoluzione della tecnica trasformerà l’essenza stessa dei veicoli e delle loro batterie, ad esempio facendone strumenti di garanzia della flessibilità e sicurezza del sistema elettrico nazionale attraverso l’integrazione dei veicoli elettrici con la rete elettrica (c.d. Vehicle To Grid).

Un nuovo mondo è già qui. Occorre gestirlo con cura, per coglierne appieno tutte le opportunità e per trarne il beneficio per  tutti.

14 gennaio 2019: legge finanziaria 2019, livelli “amministrativi” del rumore e “normale tollerabilità”: la saga continua

16.10.2018 PRIVACY – REGISTRO DELLE ATTIVITA’ DI TRATTAMENTO: ISTRUZIONI GENERALI DEL GARANTE PER LA PRIVACY E MODELLI SEMPLIFICATI PER LE PMI.

12.06.2018 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 63/2018, in vigore dal 22 giugno 2018, che attua la Direttiva europea sulla protezione dei segreti commerciali.