Coronavirus e spostamenti dei lavoratori: cosa dice il DPCM 8 marzo 2020

L’art.1 del DPCM 8 marzo 2020 introduce nuove regole per il contenimento del contagio in alcune zone, che per comodità continuiamo qui a chiamare zone rosse, tra cui le province di Padova, Treviso, Venezia.

1.

La prima rilevante misura prevede di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita da tali zone, nonchè all’interno di esse; consente però tali spostamenti quando sono comprovati da esigenze lavorative, oppure da situazioni di necessità o da motivi di salute). E’ consentito inoltre il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

La questione che si è posta è se i lavoratori possono recarsi al lavoro muovendosi all’interno della zona vietata; l’ulteriore questione è se i  lavoratori che risiedono dentro le zone rosse possono recarsi nella sede di lavoro che è fuori di esse, o se quelli che risiedono fuori possono recarsi a lavorare all’interno della zona rossa.

Naturalmente, la risposta al quesito è assai rilevante perchè, se lo spostamento è consentito, il lavoratore non solo può, ma deve, recarsi al lavoro: non esisterebbero infatti ragioni giuridiche fondate sul DPCM che potrebbero giustificare la sua assenza al lavoro.

Questo significa garantire la continuità delle attività aziendali.

Ebbene, la risposta è che il DPCM consente gli spostamenti, se ci sono comprovate esigenze lavorative: i lavoratori possono spostarsi sia all’interno della zona (i lavoratori che abitano nella stessa provincia in cui ha sede l’azienda possono andare al lavoro) e possono anche spostarsi in entrata e in uscita dalla zona (i lavoratori con abitazione e lavoro in zone diverse possono spostarsi).

La motivazione che consente gli spostamenti è la medesima per entrambi i casi, ed è appunto quella delle comprovate esigenze lavorative, che però non devono essere esigenze lavorative particolari, qualificate, tantomeno eccezionali; anzi il riferimento alla natura “indifferibile” della prestazione lavorativa, che era contenuto nella bozza circolata nella notte di sabato, non è presente nel DPCM.

Questo significa che per tutti i rapporti di lavoro è consentito lo spostamento, per il solo fatto che si tratta di lavoratori: il principio è stato definitivamente sancito nella Ordinanza n. 646 di Protezione Civile emessa in pari data 8 marzo 2020 per garantire “uniformità applicativa” al DPCM.

Secondo l’Ordinanza 46, “è esclusa ogni applicabilità della misura al transito e trasporto merci ed a tutta la filiera produttiva da e per le zone indicate”.

Vanno però ricordate le due condizioni che consentono gli spostamenti.

La prima condizione è che queste esigenze devono essere comprovate;  quindi, ipotizzando che lungo il tragitto venga sottoposto a controllo, il lavoratore che si sposta deve essere in grado di dimostrare che queste esigenze sussistono, e cioè si sta spostando per andare al lavoro (ma anche più in generale che si sta spostando “per lavoro”). Per dimostrare questo, potrà essere opportuno che il datore di lavoro predisponga e consegni al lavoratore una comunicazione formale, magari nominativamente intestata al lavoratore, con cui  dichiara che l’azienda è operativa e che pertanto sussistono le esigenze lavorative per lo spostamento; ancora il lavoratore potrà viaggiare munito di copia del contratto di lavoro e della busta paga; e così via.

Secondo il Ministero dell’Interno (comunicato stampa 8 marzo 2020), le motivazioni dello spostamento sono “da attestare mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia”.

E’ importante sottolineare che, poichè non vi è il requisito della indifferibilità, il datore di lavoro  non è tenuto a dichiarare tale indifferibilità; ciò significa che il datore di lavoro non deve individuare quali sono, all’interno dell’attività dell’azienda, le esigenze indifferibili, e non deve neanche dimostrare che quel lavoratore deve necessariamente spostarsi; non occorre dunque distinguere tra impiegati, operai, manutentori, tra attività più o meno essenziali o tra attività più o meno urgenti.

Tutti possono spostarsi se ci sono esigenze lavorative e quindi tutti possono/devono recarsi al lavoro.

La seconda condizione riguarda invece direttamente il lavoratore: lo spostamento è consentito solo nella misura in cui è legato alle esigenze lavorative. Questo significa che il lavoratore dovrà effettuare spostamenti che siano giustificati e giustificabili dalle esigenze del lavoro: in particolare dovrà trattarsi del tragitto casa-lavoro-casa; oppure spostamenti per esigenze specifiche.

2.
Stabilito che non vi è interruzione della prestazione lavorativa, poi andranno naturalmente curati in azienda gli adempimenti già noti, cioè le misure igienico-sanitarie e le misure di natura organizzativa.
Tra queste vi è sempre lo smart working; ma il divieto di spostamenti se non per lavoro impone di sottolineare una volta di più che lo smart working al quale pensa il DPCM è inteso come “lavoro a casa”, e non – come sarebbe propriamente secondo la nozione legislativa di “lavoro agile” – come lavoro in qualsiasi posto fuori dell’azienda: se quindi il lavoratore in smart working decidesse di spostarsi per la provincia lavorando agile, i suoi problemi non sarebbero con il datore di lavoro, ma più probabilmente con le Autorità di controllo: gli si potrebbe contestare che si sta spostando in zone interdette senza averne alcuna esigenza lavorativa, e quindi fuori dall’ambito per il quale l’art. 1 del DPCM consente gli spostamenti.


3.
Infine, il DPCM “raccomanda” ai datori di lavoro di “promuovere la fruizione” di congedi ordinari e ferie da parte dei lavoratori.

In attesa di eventuali provvedimenti interpretativi, va osservato che è solo una raccomandazione, e quindi nulla potrebbe contestarsi ad un datore di lavoro che non lo facesse; ma cosa significa esattamente la norma?

Innanzitutto, la norma riguarda “il periodo di efficacia del presente decreto”: quindi lo scopo è tenere i lavoratori in ferie tra i giorni 8 marzo e 3 aprile 2020.

In secondo luogo, la norma comporta che, se il lavoratore sarà in ferie, non ci saranno più le esigenze lavorative che giustificano il suo spostamento: il che equivale a dire, che chi gode delle ferie in questo periodo lo farà con i limiti di spostamento che hanno tutti coloro i quali si trovano nelle zone a rischio e non rientrano nei casi (lavoro, necessità, salute) che consentono di spostarsi.

Infine, l’art. 1 raccomanda di “promuovere la fruizione delle ferie”; invece l’art. 2 per le zone meno a rischio raccomanda “qualora sia possibile…di favorire la fruizione delle ferie”.
La differenza di linguaggio indica che il datore di lavoro deve compiere una attività di “promozione”, e quindi forse vuole intendere che il datore di lavoro deve assumere l’iniziativa perchè il lavoratore goda delle ferie: quindi, possiamo immaginare una comunicazione con cui il datore di lavoro segnala questa norma ed invita tutti i lavoratori a valutare di goderne subito.